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L’alieno fotografico ovvero il fotografo analogico nel mondo digitale
Girare con una reflex in mano ormai è una cosa da tutti i giorni.
Nessuno si impiccia del fatto che tu stia scattando delle fotografie ai piccioni sul Duomo o al barbone per strada o al papavero in mezzo al campo di grano.
Ma come tiri fuori una macchina a pellicola la gente comincia a diventar curiosa e ti guarda come un alieno.
La prima volta che sono uscito di casa con una TLR (la Ikoflex Ic) la gente non riusciva quasi a capacitarsi di che cacchio stessi facendo.
Un tipo mi ha persino chiesto se era solo per bellezza, per farmi vedere, o se funzionasse davvero.
Altri, guardandomi mentre scattavo con la Mamiya 6, non appena si sono accorti del magico movimento del pollice destro sulla leva che avvolge il rullino e prepara lo scatto successivo, hanno sgranato gli occhi.
Per me che sono timido la cosa costituisce una sfida: essere osservato mentre ti concentri sul tuo “lavoro” è uno stress niente male.
E’ incredibile come nell’arco di solo 15 anni la gente si sia completamente disabituata a vedere un fotografo analogico in azione. Se penso a qualcuno che entra in una cabina telefonica per chiamare (sempre che riesca a trovarla) non credo che ne sarei stupito come invece dimostrano le persone che vedono il fotografo analogico all’opera.
Non capisco se sia una questione di tecnica “perchè quel tipo utilizza la pellicola quando è più semplice usare il digitale” o di presunto esibizionismo “hai visto quel tipo che usa l’analogica per farsi vedere“.
Perchè l’esibizionismo fotografico per me è andare in giro con un trolley stracarico di roba o con un obiettivo che sembra un cannone di carrarmato per fotografare bambini. E’ l’eccesso.
I rari che mi chiedono perchè scatto in analogico, a sentire le mie spiegazioni storcono un po’ il naso.
Controllare tutto il processo sembra una perdita di tempo.
Li lascio pensare così.
Nuova Polaroid Z340, farà rinascere il mito?
Prendi lo chassis di una vecchia Polaroid, infilaci un sensore da 14 megapixel, attaccaci sotto una micro stampante istantanea e ti trovi in mano la nuova Z340. Costo 300$ più le ricariche da 30 fotografie (18-20$).
L’idea non è male, ma può avere un mercato e soprattutto un senso fotografico questo mix di vecchio e nuovo?
Per quanto riguarda il mercato ho i miei dubbi. Per 300$ ti porti a casa una compattina fighetta di fascia medio alta, colorata, con mille funzioni e piccola. Questa è grossa, grigia e poco glam.
E poi quante persone conoscete che stampano da digitale? Poche. Ormai gira quasi tutto sullo schermo del PC o del Tablet di turno.
Per il discorso del senso fotografico invece direi che può essere un buono strumento per i più creativi che non vogliono lanciarsi nell’Impossible Project, il che non so se sia un bene. Le possibilità artistiche che ti lascia la pola sviluppata con i chimici sono quasi infinite.
Vedremo come andrà a finire.
Qua la rece di Engadget, da cui è stata presa l’immagine.
Sistema Zonale: è ancora attuale?
Il sistema zonale è stato ideato da Ansel Adams e Fred Archer all’inizio degli anni ’40 come metodo per ottenere negativi correttamente esposti e stampe col giusto contrasto, affiancandolo alla sola misurazione con l’esposimetro esterno.
In breve, molto breve, il sistema suddivide in 10 zone, dal bianco puto al nero puro, tutto lo spettro di luminanza di una scena.
Il fotografo, guardando la scena e misurando con l’esposimetro, può individuare la distribuzione delle varie zone nella fotografia per poter decidere che tipo di esposizione finale dare allo scatto in modo da preservare maggior dettaglio possibile nelle zone scure (es, un oggetto nella penombra) e in quelle molto chiare.
Tenete presente che all’epoca le macchine fotografiche non avevano gli esposimetri evoluti che abbiamo oggi (tipo il Matrix di Nikon), anzi, spesso e volentieri non avevano proprio esposimetro.
(update 28-10-2011): mi sono reso conto che questa descrizione del sistema zonale è estremamente generica e probabilmete molto superficiale. tenete presente che Adams la descrive in 3 libri.
E’ ancora attuale come metodo? Sì e no.
Sì, perchè fornisce una tecnica molto precisa e ripetibile che, se usata spesso e assimilata con l’esperienza, è uno strumento precisissimo per esporre correttamente. Il fotografo che utilizza macchine precedenti gli anni 60 (dove difficilmente c’era un esposimetro integrato) ne può trarre giovamento per esporre meglio la fotografia.
No, perchè era nato essenzialmente per superare i limiti tecnici dell’epoca, dove da una parte c’erano negativi con poca capacità di trattare l’intero spettro di basse e alte luci, dall’altra carte fotografiche a contrasto fisso.
Per garantire la ripetibilità dei risultati e il maggior dettaglio possibile era quindi necessario strutturare il processo in modo che le varie fasi (scatto, sviluppo e stampa) fossero estremamente correlate e normate.
Oggi le pellicole hanno un grado di tolleranza di 2-3 stop, senza perdere eccessivi dettagli e, forse anche più importante, le carte fotografiche sono multicontrasto (carte multigrade).
Ci si può quindi abbastanza sbizzarrire nella fase di scatto e di sviluppo ed avere ancora margine di controllo in fase di stampa.
Rimane ovvio che una fotografia esposta male non sarà “bella” quanto una esposta con criterio, ma le evoluzioni tecniche ci sono venute in aiuto.
Di seguito alcuni approfondimenti sul tema Sistema Zonale:
- Zone System – Wikipedia
- Ken Rockwell
- guida al sistema zonale tra analogico e digitale dal sito effeunoquattro, scritta da Luca Chistè
- Nadir, sul sistema zonale per il digitale in B/N
- Schphoto, da cui è tratta l’immagine della scala
Analogico VS Digitale: l’archiviazione
Uno dei tanti argomenti in gioco nella sfida tra analogico e digitale è quello dell’archiviazione delle fotografie/negativi, in modo da renderle disponibili nel futuro (qualsiasi futuro vogliate).
Sintesi:
- l’analogico ha un processo molto sicuro e consolidato nel tempo. E’ più complesso al momento ma affidabile sul lungo periodo
- il digitale è semplice al momento ma implica che passerai la vita a fare backup (finchè “Cloud” non sarà affidabile e affordabile)
Vediamo come avvengono i due processi.
Analogico
Una buona archiviazione parte dal lavaggio del negativo. In questa fase è essenziale rimuovere ogni traccia dei prodotti chimici usati per lo sviluppo perchè, se non eliminati, continuerebbero ad agire lentamente ma costantemente.
Il lavaggio conservativo/archiviazione prevede di utilizzare solo acqua distillata/demineralizzata per un primo risciacquo veloce (si riempie e si svuota la tank), un secondo con 10 inversioni, un terzo con 20 inversioni e poi la tank sotto acqua corrente per 10/20 minuti.
Nel lavaggio “normale” si procede fino alle 20 inversioni, seguite da un paio di minuti sotto acqua corrente.
Se si usa acqua del rubinetto è sempre buona cosa utilizzare un wetting agent (sapone neutro) come ultimo risciacquo, in modo che con lo sgocciolamento non si fissino sali minerali e impurità sul negativo.
Il negativo deve essere quindi asciugato. Anche questa fase può essere gestita in diversi modi.
Il migliore dovrebbe essere appendere il negativo in un mobiletto ad hoc in modo che non circoli aria e polvere in sospensione (tenete presente che un negativo bagnato è appiccicoso come il miele) ed aspettare qualche ora.
In alternativa al mobiletto dedicato (per chi non ha spazio) alcuni consigliano di mettere ad asciugare il negativo nel bagno di casa, dopo aver prodotto molto vapore con l’acqua calda con doccia e lavandini (questo abbatte la polvere in sospensione).
L’ultimo metodo, quello più comune, è di mettere il negativo appeso nella stanza/luogo con meno circolo d’aria.
Asciugare il negativo col phon è abbastanza da suicida in quanto viene sparata ad alta velocità polvere sul negativo (quindi è anche più difficile rilavarla via) e il calore può facilmente deformarlo.
Sono disponibili anche delle speciali pinzette con le estremità di plastica morbida che aiutano a rimuovere l’acqua in eccesso dal negativo, accelerando l’asciugatura, ma aumentano moltissimo il rischio di rovinare il negativo. Le sconsiglio.
Asciugato il negativo va tagliato e riposto in appositi fogli di acetato leggero (simile alla carta da forno, ma chimicamente inerte in modo da non incollarsi e interagire con il negativo). I fogli dovrebbero poi essere conservati in ambiente secco e a temperatura costante (20-25 gradi), senza flusso d’aria e non esposti alla luce del sole.
Un negativo trattato con il lavaggio conservativo/archiviazione e conservato nei fogli di acetato come descritto prima, ha una vita di almeno 100 anni.
Rischi: perdere i negativi, incendio dei negativi.
Digitale
L’archiviazione digitale è sul momento più rapida e semplice ma nasconde molto bene alcuni problemi di gioventù del supporto digitale. Molti si focalizzano sulla sola fase di backup dei file, come se questa fosse l’unica cosa sensata da fare.
Una buona archiviazione inizia prima ancora di iniziare a scattare.
A seconda della macchina fotografica bisogna procurarsi SD o CF, di marca conosciuta, e poi bisogna formattare i supporti.
La formattazione è opportuno che sia fatta non in versione veloce (semplicemente archivia i files presenti come da sovrascrivere) ma in quella standard, che cancella realmente i files.
Il rischio, minimo ma sempre presente, è che la scheda di memoria ad un certo punto smetta di funzionare perchè ha incontrato problemi con i file precedenti. Vi assicuro che non è piacevole e, se lo si fa per lavoro, critica.
Un altra cosa da evitare sempre è quella di cancellare fotografie dalla memory usando la macchina fotografica e poi continuare a scattare. Il rischio che la memory si impasti aumenta moltissimo. Perchè rischiare quando si possono cancellare in sicurezza tutte le fotografie che si vogliono dopo?
Alcune macchine fotografiche professionali (es dalla Nikon D700 in su) hanno un secondo slot per la memory card che può essere utilizzata in modalità backup (copia i file della prima memory) oppure per continuare a salvare fotografie quando la prima è esaurita. Da un punto di vista professionale è ovviamente più importante il primo approcio: è più importante non perdere fotografie, magari di un lavoro importante, o portarsi dietro qualche memory in più?
Scattate le fotografie, tutti i file vanno scaricati sul proprio PC e archiviati, un po’ come vi pare, in cartelle e sottocartelle.
Qui si arriva al cuore dell’archiviazione digitale: il backup.
Buona norma sarebbe di copiare subito il contenuto su un altro HardDisk e creare un DVD con le fotografie appena salvate. In caso di problemi sul PC o su uno dei due supporti, si ha sempre un’ultima chance.
Altra procedura applicabile per non avere in giro troppi DVD è di salvare su due HD in parallelo o avere un HD dedicato al backup delle sole fotografie e uno che serva da backup per tutto il contenuto del PC (per gli utenti mac parlo di Time Machine).
E’ insita in questa procedura il suo più grande rischio o limite: fino a quanto potrò continuare a salvare e risalvare files, visto che si producono sempre più fotografie, sempre più pesanti? E’ vero, ormai sono in vendita HD da svariati TeraByte, ma ciò vuol dire che ogni x tempo (2 anni?) dovrò rifare il backup sul nuovo supporto più grande, e così via per qualche decina d’anni. Non credo che sarà sostenibile, almeno per la noia che comporta questo lavoro.
Durata di un archivio di questo tipo? Al momento massimo 15 anni (più o meno da quando la fotografia digitale è entrata nelle nostre case)
Il metodo di archiviazione del futuro è legato alla rete, con l’esplosione in questi ultimi due anni della cosidetta “Cloud”.
Invece di creare DVD o tenere aggiornati n HD, si salva in rete tutto quello che si è scattato.
Questo diventerà il metodo migliore e durevole nel tempo per fare un backup, quando lo spazio a disposizione sarà ad un costo accessibile e le velocità di trasferimento dati saranno aumentate.
Certo, il rischio che un datacenter vada a fuoco ci sono sempre (salutiamo gli amici di Aruba), ma la tua copia di backup l’hai fatta lo stesso (non ti fiderai mica della Cloud?).
Rischi: perdita HD, furto PC e HD, perdita DVD, guasto HD-PC-SD-CF-DVD, datacenter a fuoco, finita la corrente.