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Posts Tagged ‘tecnica’

Tecnica: come conservare i chimici di sviluppo

6 febbraio 2012 4 commenti

Provo brevemente a descrivere come conservare i chimici, prima e dopo il loro utilizzo.
I prodotti chimici per lo sviluppo sono di due tipi quando ve li vendono al dettaglio: in polvere o liquidi.

Prima di aprire i prodotti

In polvere
I prodotti in polvere devono essere conservati in ambiente asciutto e non esposti a fonti di calore. Hanno una durata specifica mediamente superiore ai due anni.

Liquidi
I prodotti liquidi sono venduti normalmente in boccette con 2-3 livelli di chiusura: tappo, assorbentino sotto il tappo e foglietta di alluminio sigillante.
Quando sono ancora sigillati hanno vita di 1-2 anni e devono essere conservati in luogo asciutto, non esposto a fonti di calore e possibilmente a temperatura costante. A differenza dei prodotti in polvere, l’aumento di temperatura fa aumentare i processi di decadimento e degradazione del prodotto.
Anche per questo motivo, se non sviluppate molto, vi conviene acquistare piccole dosi di prodotti, altrimenti buona parte la getterete senza averla usata.

Dopo aver aperto i prodotti

In polvere
L’umidità è il peggior nemico delle polveri, in quanto le raggruma e fa partire le reazioni chimiche che portano al loro degrado. Ambiente secco e chiusura la più ermetica possibile aiutano a allungare la vita del prodotto. Direi un 6 mesi-1 anno se ben sigillato.

Liquidi
A boccette ben chiuse, in ambiente secco e con temperatura stabile 2-4 mesi.
Attenzione perchè il rischio di rovinare un negativo è molto alto; consiglio di scrivere sulla boccetta quando è stato aperto.

Dopo che è stato diluito per l’uso

Liquido e in Polvere
Qui non c’è differenza tra liquidi e polvere.
La diluizione serve a rendere utilizzabile il chimico, che di solito viene venduto in forma più o meno concentrata.
Il chimico diluito va conservato in una bottiglia di plastica o vetro non trasparente e tenuto in un posto asciutto, senza fonti di luce e calore e a temperatura stabile. Il tutto per evitare che partano reazioni chimiche che seppur lente rovinano il prodotto.
Il chimico di “utilizzo” ha una vita molto breve, massimo 10 giorni. Dopo una settimana si è già a rischio secondo me di non avere risultati uniformi.
Questo tempo di vita va ulteriormente ridotto ogni volta che utilizzate il chimico per il vostro sviluppo.
Mediamente (io più o meno mi ritrovo con questo dato) ogni 4 rullini sviluppati i chimici cominciano a rallentare la propria reazione. Questo vuol dire che per i successivi 2-3 sviluppi dovrete aggiungere del tempo di sviluppo e fix.
Come regola mi sono dato: 5° rullino, aggiungo 10% del tempo, 6° e 7° aggiungo 20% del tempo.
Dopo si rischia che lo sviluppo e il fix sia scarso.
Quindi, una volta che cominciate ad utilizzarlo, la vita diventa di 5-7 giorni massimo.

Ci sono altri modi per capire se un chimico è esausto?

Sì, guardando il colore (più è saturo più è esausto) oppure utilizzando le cartine tornasole (ma non chiedete a me perchè non so come fare:-))

La spirale che ti rovina la foto

1 febbraio 2012 3 commenti

Ho ripreso a sviluppare, in modalità industriale quasi, e il tempo per far le cose per bene mi manca.
E questo è un problema quando si tratta di gestire bene il negativo.

Avevo già parlato della spirale e come il passaggio dello sviluppo che la riguarda sia uno dei più complessi.
Qui vedete i risultati di un negativo che è stato estratto a forza dalla spirale perché incastrato.
Le pieghe che si formano sembrano impercettibili al tatto (ricordatevi che siete nella changing bag, non vedete nulla) quindi scoprirete se avete fatto danni solo quando avrete finito lo sviluppo.
Per far le cose per bene ricordatevi di avere le spirali perfettamente asciutte, il negativo tagliato agli angoli di un’estremità, e fate le cose con la dovuta calma, senza perdere la pazienza.

Le prime volte che si sviluppa è facile far incastrare il negativo sulla spirale, ma con la pratica diventa un evento raro.

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Sicurezza e smaltimento dei prodotti chimici dello Sviluppo: il tabù fotografico più nascosto

15 dicembre 2011 1 commento

Questo post mi è venuto in mente mentre sturavo la vasca da bagno con un bel litrozzo di Mister Muscolo, lo ammetto non è romantico.
Gli amici del marketing ti vendono il super acidone e, per legge, ti avvisano che il prodotto nuoce alla natura, ai pesci, ti scioglie le dita, si trasforma in gas velenosi, ecc ecc.
Ora dico, se mi vendete un prodotto del genere che male faranno i prodotti che uso per lo sviluppo dei miei adorati rullini?
E qui cala un velo di mistero e segreto, sollevato solo da pochi in Italia, dibattuto ampiamente nei paesi anglosassoni.
Come diavolo smaltisco i liquidi esausti?
La risposta giusta moralmente, scientificamente, legalmente e naturalisticamente è andare in una discarica specializzata.
La risposta breve è invece abbastanza vicina al vostro bidet ma io non la consiglio (predico bene, razzolo male, ma non ditelo a nessuno).
Alcune premesse doverose:

  • i chimici utilizzati per sviluppo, stop e fissaggio, contengono sostanze chimiche “pericolose” in dosi molto basse, questo non toglie che siano e rimangano pericolose
  • alcune sostanze sono più pericolose per l’ambiente e gli esseri umani di altre. Gli idrochinoni ad esempio sono dei simpatici cancerogeni e sono abbondanti in alcuni tipi di sviluppo steady (quelli in cui si lascia la tank ferma e non si eseguono le inversioni)
  • esistono soluzioni molto verdi e sicure da smaltire nelle acque di scarico, cercatele tra i vari fornitori, ma son costosette
  • dovete capire se la vostra fogna è settica o meno, cioè se calate dei chimici in un posto (poco simpatico di suo) che poi esplode per quello che state scaricando. Ditelo che non avreste mai pensato di dover parlare di fogne in ambito fotografico
  • ho scritto all’ARPA Lombardia per chiedere consigli ma non mi ha risposto nessuno; avevate dubbi?

Due note che aiutano sicuramente:

  • quando sviluppo e stop sono esauriti, miscelateli assieme. Questo annulla le loro proprietà basiche e acide con il risultato che il nuovo liquido è inerte (non vuol dire non inquinante, badate bene)
  • quando il fissaggio è esaurito, non gettatelo nel water. Nel fissaggio sono presenti le maggiori quantità di argento, che di per sè è peggio degli acidi come inquinante. La soluzione migliore sarebbe di portarlo in un negozio di fotografia che per legge li deve raccogliere e consegnare ai centri specializzati. Se proprio proprio non ce la fate, potete prendere i vari fissaggi esausti e metterli in una bella bottigliona con dentro una spugna d’acciaio. In teoria l’argento, con un processo molto lento, si ossiderà sull’acciaio che diventerà nero. [questa parte in arancio non ho la certezza che funzioni, prendetelo quindi con le pinze] Superata questa fase credo che sia sufficiente far evaporare il liquido rimasto (non in casa, magari sul balcone) e poi gettare il resto come rifiuto normale.

Per riassumere: lo sviluppatore saltuario difficilmente farà disastri ambientali, se paragonati a cosa scarichiamo mediamente nelle nostre fogne per lavare i piatti, sturare i lavandini e lucidare l’acciaio. Lo sviluppatore seriale dovrebbe, almeno per il fissaggio, trovare un modo sicuro di smaltimento.

Di seguito riporto anche alcuni articoli interessanti (anglo-ammerigani)

http://earth911.com/photographic-chemicals/tips-for-recycling-and-disposing-of-photographic-chemicals/

Fai clic per accedere a Photo-Chemicals-Safety.pdf

http://www.squarefrog.co.uk/techniques/developing-film.html

http://audario.forumfree.it/?t=17993275

L’alieno fotografico ovvero il fotografo analogico nel mondo digitale

14 dicembre 2011 Lascia un commento

Girare con una reflex in mano ormai è una cosa da tutti i giorni.
Nessuno si impiccia del fatto che tu stia scattando delle fotografie ai piccioni sul Duomo o al barbone per strada o al papavero in mezzo al campo di grano.

Ma come tiri fuori una macchina a pellicola la gente comincia a diventar curiosa e ti guarda come un alieno.
La prima volta che sono uscito di casa con una TLR (la Ikoflex Ic) la gente non riusciva quasi a capacitarsi di che cacchio stessi facendo.
Un tipo mi ha persino chiesto se era solo per bellezza, per farmi vedere, o se funzionasse davvero.
Altri, guardandomi mentre scattavo con la Mamiya 6, non appena si sono accorti del magico movimento del pollice destro sulla leva che avvolge il rullino e prepara lo scatto successivo, hanno sgranato gli occhi.
Per me che sono timido la cosa costituisce una sfida: essere osservato mentre ti concentri sul tuo “lavoro” è uno stress niente male.

E’ incredibile come nell’arco di solo 15 anni la gente si sia completamente disabituata a vedere un fotografo analogico in azione. Se penso a qualcuno che entra in una cabina telefonica per chiamare (sempre che riesca a trovarla) non credo che ne sarei stupito come invece dimostrano le persone che vedono il fotografo analogico all’opera.
Non capisco se sia una questione di tecnica “perchè quel tipo utilizza la pellicola quando è più semplice usare il digitale” o di presunto esibizionismo “hai visto quel tipo che usa l’analogica per farsi vedere“.
Perchè l’esibizionismo fotografico per me è andare in giro con un trolley stracarico di roba o con un obiettivo che sembra un cannone di carrarmato per fotografare bambini. E’ l’eccesso.
I rari che mi chiedono perchè scatto in analogico, a sentire le mie spiegazioni storcono un po’ il naso.
Controllare tutto il processo sembra una perdita di tempo.
Li lascio pensare così.

Il Morbo del Trolley o del Fotografo Gobbo

24 novembre 2011 Lascia un commento

Ultimo atto e conseguenza naturale della Sindrome da Kit Fotografico è il Morbo del Trolley (conosciuto erroneamente anche come “del Fotografo Gobbo”).
Il fotografo, una volta dato sfogo all’acquisto incontrollabile dei componenti del suo corredo, si troverà con un numero spropositato di obiettivi e accessori da portare a spasso ogni volta che decide di uscire per far fotografie.
A seconda del livello cronico a cui si è stabilizzata la SdKF, e quindi del volume di materiale da spostare, il fotografo acquisterà una o più borse delle più svariate forme e dimensioni.
Il  Morbo del Trolley ha diverse forme:

  • lieve: la borsa contiene un corpo macchina, due obiettivi, un flash e qualche filtro
  • media (o “dello zoppo”): come la forma lieve ma il fotografo ha anche una cintura a cui attacca alcune custodie di obiettivi. Il fotografo comincia ad avere una camminata sguercia a causa del peso non bilanciato. Nelle forme più gravi il fotografo comincia a girare su se stesso
  • cronica: la borsa è sostituita da uno zaino di medie dimensioni, a cui non può accedere facilmente, ma deve fermarsi, posare lo zaino per terra e cercare la macchina
  • cronica digitale (o “del Gobbo”): lo zaino è grande e contiene anche un pc portatile e i suoi accessori
  • acuta: come la cronica digitale ma il fotografo porta con se almeno due corpi macchina più tutto il resto
  • irreversibile (“del Trolley”): il fotografo gira col trolley stracarico. Ansel Adams ne soffriva, non siete da soli!

Al momento non sono conosciute terapie efficaci se non lo shock da “perdita di momento fatato” (il fotografo non riesce a trovare la macchina fotografica nel momento del bisogno) o terapie di supporto familiare (da imprecazioni varie).

Se non siete Ansel Adams non vi serve portarvi dietro tutto.
Fate lo sforzo almeno una volta di decidere prima il/i soggetti da fotografare, i messaggi che volete comunicare e scegliete una lente sola.
Cambiate la vostra prospettiva! Non siate schiavi degli oggetti, ma fate sì che gli oggetti siano vostri strumenti per vedere e far vedere agli altri.

La Sindrome da Kit (o Corredo) Fotografico

21 novembre 2011 1 commento

Si presenta quando un soggetto affetto dalla Sindrome da Acquisto Compulsivo passa alla fase cronica di questa, cominciando ad acquistare materiale per costituire un kit o corredo fotografico senza rendersi conto delle sue reali necessità.
Derivato da un lontano retaggio delle scimmie arboricole antropomorfe, che costruivano il nido con tutto quello che trovavano attorno a loro in natura; così il fotografo moderno costruisce il suo corredo con tutti gli obiettivi, flash, diffusori, esposimetri, filtri, accessori e altre amenità  per gestire la propria ansia e tenere a bada la paura della natura.

Con l’Età dei Lumi (non quella di Voltaire, ma quella di Oscar Barnack) si sono formate due correnti di pensiero:  “leggero e portatile” contro “mi serve tutto incondizionatamente“.
Nel primo gruppo si annovera Henry Cartier Bresson, che usava una macchina 35mm piccola (non una F4 Nikon per intenderci quanto una Leica M3 et similia) con una sola lente.
All’altro estremo si trova Ansel Adams, che girava per le montagne e i parchi della California con 2 o 3 macchine di grande formato e casse piene di materiale (i muli che son morti di fatica ne sanno qualcosa).
Loro sono Maestri della fotografia e ciò che li divide veramente non è quanto materiale si portano dietro o se hanno o meno un kit preferito.
Essendo Maestri hanno visto al di là del mezzo e del materiale fotografico e posto la questione su cosa volevano comunicare, cosa volevano fotografare. Quindi macchina e corredo sono conseguenze di scelte artistiche ben precise e definite.
Con una 35mm Adams non sarebbe mai riuscito ad avere la definizione necessaria per le sue stampe gigantesche; allo stesso modo HCB avrebbe scattato un centesimo delle sue fotografie di strada, rubate, con una macchina che solo per aprirla e mettere a fuoco ci vuole un quarto d’ora.

E’ ovvio che se partite con l’idea “non so cosa troverò da fotografare”, la risposta fisiologica e mentale più semplice è “mi porto dietro tutto” e quindi, se mi manca un obiettivo macro o il supertelezoom, lo comprerò.

Proprio qua risiede il salto tra fotografo occasionale, da scatto compulsivo, e l’artista.
Se sai cosa vuoi, sai cosa ti devi portare dietro.

Prossimi post analogici

10 novembre 2011 Lascia un commento

… ho in mente questi, ma accetto suggerimenti e richieste 🙂

  • scegliere la macchina fotografica – kit minimo
  • 35mm o medio formato?
  • come controllare un obiettivo usato
  • investire nel mattone o negli obiettivi?
  • vincere su eBay (molti credits a Ken Rockwell)
  • scegliere l’ingranditore
  • sicurezza e smaltimento dei prodotti chimici
  • pulizia delle lenti
  • vecchie macchine fotografiche e batterie: problemi di voltaggio e di esposizione

Il manuale NASA del bravo fotografo spaziale

7 novembre 2011 Lascia un commento

La NASA ha usato per oltre 40 anni le macchine fotografiche Hasselblad nelle sue missioni spaziali.
Da quelle più conosciute come lo sbarco sulla Luna a quelle più di routine, tutte sono state immortalate con queste macchine fotografiche medio formato.
Da poco è stato reso pubblico il manuale per gli astronauti. Al di là della chicca storica che può rappresentare, è anche un sintetico e utile manuale di utilizzo di una macchina a pellicola.

Qua trovate il pdf completo.
Buona lettura

Less is more: la tecnologia è dalla nostra parte?

3 novembre 2011 Lascia un commento

L’evoluzione tecnica e tecnologica ha portato all’introduzione di molte novità volte a facilitare l’adozione e l’uso delle macchine fotografiche, sempre più avanzate e automatizzate.
L’idea è quella di semplificare/automatizzare al massimo le funzioni a basso valore in modo che il fotografo abbia più tempo per le questioni essenziali, la composizione, la scelta delle luci e non ultimo il messaggio che vuole racchiudere nella fotografia.
Questo è accaduto prima con la pellicola e successivamente con il digitale.
L’introduzione degli esposimetri, dell’accoppiamento tempi/diaframmi, degli indicatori di focus e poi degli obiettivi con focus automatico, l’introduzione del sensore ottico che sostituisce la pellicola, l’archiviazione su schede di memoria sempre più capienti, la sensibilità ISO sempre più spinta e accurata, sono esempi positivi di evoluzione tecnologica.
Poi, per qualche malvagio motivo (di marketing :-)) nella storia tecnologica sono state inserite e vendute come insostituibili alcune trovate abominevoli.
Abominevoli non prese da sole, ma prese nel contesto generale di una persona che deve fare una fotografia e concentrarsi sull’essenziale.

Prendiamo ad esempio la funzionalità dello scatto automatico quando il soggetto fotografato sorride. Tecnologicamente parlando è una idea geniale. Vi sarà capitato di cercare di scattare la fotografia ad una persona a cui chiedete di sorridere e di arrivare un secondo prima o uno dopo e beccare una smorfia. Bene, ci sono molte macchine fotografiche che hanno questa funzionalità.
Dove si nasconde il problema? Per accedere a questa funzionalità bisogna iniziare ad armeggiare con il menù oppure, sareste già fortunati, trovare la rotellina delle modalità di scatto e ruotarla fino ad arrivare a quella che cercate.
Il tutto però vi obbliga probabilmente a togliere l’occhio dal mirino e a perdere tempo con i menù.
Un altro esempio: le informazioni visibili nel mirino (o sullo schermo).
Le informazioni base che servono per una esposizione corretta sono il tempo, l’apertura selezionata (eventualmente la relazione tra i due) e se ciò che state “puntando” è a fuoco.
Serve altro? Su una macchina a pellicola no. Su una digitale nemmeno.
Ma la digitale vi dirà quale ISO è impostato, data e ora, quale bilanciamento del bianco, se è sovra o sottoesposta, il livello di carica della batteria, quanti scatti avete fatto e quanti ne potete ancora fare, se e come è attivo il flash e con quale potenza, se c’è segnale gps, ecc ecc.
Ci sta tutto nel mirino, però il soggetto dov’è finito? E quanto sarò distratto dalla mole di informazioni che ricevo?
Per non parlare poi se vogliamo modificare le configurazioni base.
Immaginate di dover impostare il bilanciamento del bianco su nuvoloso.
Con la mia D80, dopo 4 anni, non riesco ancora a farlo senza togliere l’occhio dal mirino, ma in teoria è possibile. Tieni premuto il bottone dedicato e contemporaneamente giri la rotellina di selezione.
Se non sei così bravo o non sei fortunato abbastanza da poterlo fare senza accedere ai menù, ecco che inizia l’odissea. Entri nel menù delle impostazioni e cerchi: sarà sotto impostazioni generali o impostazioni di scatto? E se poi devo cambiarlo di nuovo devo rifare lo stesso giro? Nel frattempo è uscito il sole.
Con l’analogico il problema non si pone. In bianco e nero è ininfluente. A colori pure, a meno che non devi scattare fotografie con illuminazione al neon o a incandescenza per le quali serve una pellicola particolare.
Per non parlare della curva di apprendimento nell’utilizzo di una macchina fotografica e nella curva di configurazione della stessa.
Una macchina digitale appena tolta dalla scatola, rispetto all’inquadratura che farete deciderà esposizione, tempo, apertura, ISO, bilanciamento del bianco, flash, punti di focus, livello di saturazione e probabilmente in fase di salvataggio applicherà anche delle migliorie alla fotografia.
Obiettivo raggiunto, abbiamo faticato poco e ottenuto una fotografia esposta mediamente.
Se volete però cominciare a gestire voi la fotografia, a mettere un pizzico in più della vostra arte le cose cominciano a complicarsi.
Gli ISO li voglio automatici? E la saturazione? Quando utilizzo ISO alti imposto la riduzione del rumore digitale o no? Al bottone configurabile per accedere velocemente ad una funzionalità cosa faccio fare? Il cambio del bilanciamento del bianco lo metto automatico? La modalità di scatto multipla? Il bracketing?
Dov’è il senso della fotografia? E dove finisce il tempo che dedico al mezzo e quello che dedico alla fotografia?
Chiedete ad Henry Cartier Bresson quanto ci impiegava per impostare la macchina e scattare una sua fotografia in strada. La risposta è “niente”.
Aveva una sola ottica, ISO della pellicola, tempo fisso e l’obiettivo a fuoco su infinito.
Qualsiasi cosa passasse davanti a lui a più di 3 metri era a fuoco, pronto per essere immortalato.

To take a photograph is to align the head, the eye and the heart. It’s a way of life.

Non mi sembra che parli della modalità sorriso.

La pellicola perfetta

29 ottobre 2011 Lascia un commento

Questo titolo è un inganno, come tutti i titoli studiati dal Marketing per vendere qualcosa.
Una delle domande che mi sono fatto passando dal digitale all’analogico è stata quale diavolo di pellicola avrei usato.
Mi sono informato un po’ sul web ma ho trovato solamente un ridda infinita di consigli, “scegli di qui, no! scegli la”, “scegli quelle che sono più granulose”, “no prendi quelle che ti danno più definizione”  e via così.

Quale scegliere quindi?
Dopo mesi di continui cambi e di risultati molto simili, non riuscivo ancora a capire cosa non andava. C’era veramente bisogno di provare 40 tipi diversi di pellicola? La risposta è no. Basta prenderne una con l’iso con cui scattiamo più spesso ed attaccarcisi come una cozza.
Perchè? Perchè la pellicola da sola non va da nessuna parte. La pellicola è solo una parte del processo di produzione di una fotografia e, per fare bene le cose, uno deve avere chiaro il quadro d’insieme, da quando espone fino allo sviluppo su carta fotografica.
La scelta migliore da fare è costruirsi un modello di come tu fotografo, un tipo di pellicola e un tipo specifico di sviluppo funzionate assieme.
Dopo una decina di rullini sviluppati nello stesso modo capisci come la tua creatività è legata al mezzo-pellicola e al mezzo-sviluppo.
Il risultato ti piace? Allora continua così.
Il risultato non ti piace? Hai 3 variabili che puoi cambiare: tu, pellicola o sviluppo.
Cambiane sempre e solo una alla volta.