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Archive for the ‘altro’ Category

Cosa ha in comune cucinare dolcetti e fare fotografia analogica?

7 febbraio 2012 Lascia un commento

Tanto, quasi tutto.
Cose uguali:

  • devi sapere cosa vuoi fare prima di farlo, se vuoi farlo bene
  • devi seguire le istruzioni le prime volte, poi ci metti del tuo
  • devi mettere le mani in pasta e sporcartele
  • devi conoscere i tuoi mezzi (forno e macchina) anche se puoi cambiarli senza problemi
  • controlli tutto il processo
  • quando farlo lo decidi tu
  • il gusto lo decidi tu

Più ci penso e più sono convinto che le persone a cui piace cucinare sarebbero buoni fotografi, se solo lo sapessero.
Se solo sapessero che non è niente di complicato, che non c’è niente di più personale che una piccola opera d’arte prodotta con amore e passione, sia essa dolcetto o fotografia.

(immagine presa da pianetadonna.it)

Decisioni estreme per un viaggio a Londra 3: i risultati

1 febbraio 2012 Lascia un commento

Con colpevole ritardo, pubblico su Flickr le foto (decenti) che ho fatto in Gran Bretagna.

4 giorni – 5 rullini

Decisioni estreme per un viaggio a Londra 2: com’é andata

10 gennaio 2012 Lascia un commento

4 giorni in Gran Bretagna e 5 rullini. La sfida non era niente male, ho dovuto resistere contro il diavolo tentatore dello scatto compulsivo.
É andata così:

  • 30 fotografie a Londra, alcune di notte per la centrale elettrica di Battersea
  • 6 a Stonehenge
  • 6 a Plymouth (notturne)
  • 6 a Saint Michael’s Mount (la fantasia non abita qua, é proprio uguale al Mont Saint Michel in Francia)
  • 12 a Lands End in Cornovaglia

Se il mio stramaledetto Pc mi farà la grazia di funzionare decentemente pubblicherò i risultati.

Vacanze fotografiche: come non farsi uccidere dal proprio partner di viaggio

7 gennaio 2012 Lascia un commento

Sono arrivate finalmente le vacanze e non vedete l’ora di scattare le vostre migliaia di foto del monumento ai caduti del Beluchistan e tutto d’un tratto un brivido freddo vi corre lungo la schiena: “mi ammazzerà questa volta? Mi prenderà ad insulti in aramaico se non la smetto di scattare fotografie ad ogni più microscopico dettaglio del parco civico di Beluchiville?
Viaggiare con qualcuno che non ama la fotografia o che non é appassionato come voi, costringe a scendere a patti con se stessi e con gli altri.
Mettetevi in questa situazione: state camminando in una bella città straniera, le vostre agognate e costose vacanze sono appena iniziate e accanto a voi c’é qualcuno che ogni due metri si ferma per un paio di minuti a leggere un libro, completamente estraniato da voi e assorbito dalla lettura. Una palla micidiale non credete?
Ecco viaggiare con un fotografo compulsivo é così.
Bisogna scendere a patti dicevo.
Prima di tutto rispettate gli altri, i loro tempi, i loro bisogni.
Poi chiedete rispetto per la vostra passione: spiegate che fare fotografie vi rilassa, vi piace, vi fa sentire artisti, insomma, per quale diavolo di motivo state facendo queste foto? E non dite che lo fate per farle vedere al vostro ritorno, che tanto non le guarda nessuno 🙂
Datevi degli obiettivi e condivideteli con chi vi sta accanto: dichiarate cioè cosa avete intenzione di fotografare e il tempo che vi serve.
E’ molto più accettabile sentirsi dire “mi fermo qua per mezz’ora a scattare, tu fatti un giretto così dopo non ti rompo”, che continuare lo stillicidio di fotografie ogni metro e di soste continue.
Svegliatevi presto! Se uscite a scattare alle sei del mattino e rientrate alle otto, prima che tutti si sveglino avrete due belle orette per farvi i fatti vostri (con un’ottima luce peraltro e poca gente in giro).
Non ultimo, scattate meno. Siate concentrati sul senso che volete dare alle vostre foto e al viaggio.
La qualità dei vostri scatti ne risentirà parecchio.

Decisioni estreme per un viaggio a Londra

6 gennaio 2012 Lascia un commento

Sono stato due volte a Londra e sono sempre tornato con 800-1000 fotografie scattate in un paio di giorni. La solita frenesia digitale di cui sono affetto (anche voi, tranquilli).
Oggi invece parto con la Mamiya 6, 5 rullini b/n Ilford Delta 100 (cioè quelli soliti miei) e 3 rullini Dia Fuji (Provia se non ricordo male).
Non credo che useró le Dia, quindi sono 60 fotografie per 4 giorni di permanenza su suolo britannico.
Ce la faró?

Sicurezza e smaltimento dei prodotti chimici dello Sviluppo: il tabù fotografico più nascosto

15 dicembre 2011 1 commento

Questo post mi è venuto in mente mentre sturavo la vasca da bagno con un bel litrozzo di Mister Muscolo, lo ammetto non è romantico.
Gli amici del marketing ti vendono il super acidone e, per legge, ti avvisano che il prodotto nuoce alla natura, ai pesci, ti scioglie le dita, si trasforma in gas velenosi, ecc ecc.
Ora dico, se mi vendete un prodotto del genere che male faranno i prodotti che uso per lo sviluppo dei miei adorati rullini?
E qui cala un velo di mistero e segreto, sollevato solo da pochi in Italia, dibattuto ampiamente nei paesi anglosassoni.
Come diavolo smaltisco i liquidi esausti?
La risposta giusta moralmente, scientificamente, legalmente e naturalisticamente è andare in una discarica specializzata.
La risposta breve è invece abbastanza vicina al vostro bidet ma io non la consiglio (predico bene, razzolo male, ma non ditelo a nessuno).
Alcune premesse doverose:

  • i chimici utilizzati per sviluppo, stop e fissaggio, contengono sostanze chimiche “pericolose” in dosi molto basse, questo non toglie che siano e rimangano pericolose
  • alcune sostanze sono più pericolose per l’ambiente e gli esseri umani di altre. Gli idrochinoni ad esempio sono dei simpatici cancerogeni e sono abbondanti in alcuni tipi di sviluppo steady (quelli in cui si lascia la tank ferma e non si eseguono le inversioni)
  • esistono soluzioni molto verdi e sicure da smaltire nelle acque di scarico, cercatele tra i vari fornitori, ma son costosette
  • dovete capire se la vostra fogna è settica o meno, cioè se calate dei chimici in un posto (poco simpatico di suo) che poi esplode per quello che state scaricando. Ditelo che non avreste mai pensato di dover parlare di fogne in ambito fotografico
  • ho scritto all’ARPA Lombardia per chiedere consigli ma non mi ha risposto nessuno; avevate dubbi?

Due note che aiutano sicuramente:

  • quando sviluppo e stop sono esauriti, miscelateli assieme. Questo annulla le loro proprietà basiche e acide con il risultato che il nuovo liquido è inerte (non vuol dire non inquinante, badate bene)
  • quando il fissaggio è esaurito, non gettatelo nel water. Nel fissaggio sono presenti le maggiori quantità di argento, che di per sè è peggio degli acidi come inquinante. La soluzione migliore sarebbe di portarlo in un negozio di fotografia che per legge li deve raccogliere e consegnare ai centri specializzati. Se proprio proprio non ce la fate, potete prendere i vari fissaggi esausti e metterli in una bella bottigliona con dentro una spugna d’acciaio. In teoria l’argento, con un processo molto lento, si ossiderà sull’acciaio che diventerà nero. [questa parte in arancio non ho la certezza che funzioni, prendetelo quindi con le pinze] Superata questa fase credo che sia sufficiente far evaporare il liquido rimasto (non in casa, magari sul balcone) e poi gettare il resto come rifiuto normale.

Per riassumere: lo sviluppatore saltuario difficilmente farà disastri ambientali, se paragonati a cosa scarichiamo mediamente nelle nostre fogne per lavare i piatti, sturare i lavandini e lucidare l’acciaio. Lo sviluppatore seriale dovrebbe, almeno per il fissaggio, trovare un modo sicuro di smaltimento.

Di seguito riporto anche alcuni articoli interessanti (anglo-ammerigani)

http://earth911.com/photographic-chemicals/tips-for-recycling-and-disposing-of-photographic-chemicals/

Fai clic per accedere a Photo-Chemicals-Safety.pdf

http://www.squarefrog.co.uk/techniques/developing-film.html

http://audario.forumfree.it/?t=17993275

L’alieno fotografico ovvero il fotografo analogico nel mondo digitale

14 dicembre 2011 Lascia un commento

Girare con una reflex in mano ormai è una cosa da tutti i giorni.
Nessuno si impiccia del fatto che tu stia scattando delle fotografie ai piccioni sul Duomo o al barbone per strada o al papavero in mezzo al campo di grano.

Ma come tiri fuori una macchina a pellicola la gente comincia a diventar curiosa e ti guarda come un alieno.
La prima volta che sono uscito di casa con una TLR (la Ikoflex Ic) la gente non riusciva quasi a capacitarsi di che cacchio stessi facendo.
Un tipo mi ha persino chiesto se era solo per bellezza, per farmi vedere, o se funzionasse davvero.
Altri, guardandomi mentre scattavo con la Mamiya 6, non appena si sono accorti del magico movimento del pollice destro sulla leva che avvolge il rullino e prepara lo scatto successivo, hanno sgranato gli occhi.
Per me che sono timido la cosa costituisce una sfida: essere osservato mentre ti concentri sul tuo “lavoro” è uno stress niente male.

E’ incredibile come nell’arco di solo 15 anni la gente si sia completamente disabituata a vedere un fotografo analogico in azione. Se penso a qualcuno che entra in una cabina telefonica per chiamare (sempre che riesca a trovarla) non credo che ne sarei stupito come invece dimostrano le persone che vedono il fotografo analogico all’opera.
Non capisco se sia una questione di tecnica “perchè quel tipo utilizza la pellicola quando è più semplice usare il digitale” o di presunto esibizionismo “hai visto quel tipo che usa l’analogica per farsi vedere“.
Perchè l’esibizionismo fotografico per me è andare in giro con un trolley stracarico di roba o con un obiettivo che sembra un cannone di carrarmato per fotografare bambini. E’ l’eccesso.
I rari che mi chiedono perchè scatto in analogico, a sentire le mie spiegazioni storcono un po’ il naso.
Controllare tutto il processo sembra una perdita di tempo.
Li lascio pensare così.

Gli inglesi son paranoici ovvero: i pericolosissimi fotografi terroristi

13 dicembre 2011 Lascia un commento

A me è capitato nel 2008, a maggio, in pieno delirio post 11 settembre.
Stavo tranquillamente fotografando Westminster con la mia D80 e il cavalletto (era tardi) e vengo fermato da due Bobbies per un controllo documenti.

A parte la strizza assoluta, ho chiesto ai due gentiluomini come mai mi controllassero e loro risposero che era perchè avevo il cavalletto e l’antiterrorismo pensava che un tipo con il cavalletto di notte a far fotografie era ben sospetto.

Fosse stato di giorno non ci sarebbero stati problemi, ma di notte! Tzè! D’altronde si sa che i terroristi vengono fuori di notte a far fotografie tutte pixellose mentre di giorno dormono. Come non me ne ero avveduto.
Dico io, ma che cacchio c’è da fotografare di notte che di giorno non si vede?
Se fosse così, son ben idioti a farlo scoprire a me.
Tant’è, mi controllano e poi mi lascian la ricevuta: non sono un terrorista. Oh bene grazie, ora che me l’avete scritto anche voi me lo metterò nel CV.

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Questa è una delle tante storie successe a fotografi in Inghilterra e di cui forse avete sentito parlare.
Ma quando si pensa di essere arrivati al fondo poi si scopre che c’è sempre da scavare.
E così oggi esce la notizia che in una stazione di Londra aperta al pubblico come museo ora non è più possibile scattare con macchine digitali reflex. E io penso: che cacchio han paura che metti una bomba in una D5000?
L’MI6 teme che il tuo 28-300 sia in realtà una flashbang pronta a stordire la security?
Sbagliato!
Si sono accorti che chi ha una reflex digitale ci impiega molto più tempo a visitare la stazione mentre scatta 100 foto del particolare della cicca schiacciata per terra, e ciò rallenta l’afflusso dei turisti successivi.
Forse questi inglesi non sono del tutto svarionati.

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L’ultimo trip: il Daguerrotipo è ancora fattibile?

28 novembre 2011 Lascia un commento

Risposta breve: sì.

Risposta estesa: sì, ma “sono cazzi da cagare” (è un termine tecnico coniato da Daguerre in persona).
Il Daguerrotipo è il primo metodo fotografico divulgato e commercializzato al pubblico dal 1839 da Daguerre e da Niepce figlio (del vero inventore), con le macchine fotografiche (Camere Oscure) di Giroux (il cognato di Daguerre), in cui l”immagine ripresa viene fissata su una lamina metallica di rame o argento.
Già dopo una ventina d’anni il processo era quasi tramontato, sostituito dai calotipi e da altre tecniche più semplici e più sensibili (già nel ’34 l’inglese Talbot lavorava a negativi su carta).
Ma la daguerrotipia non è mai scomparsa definitivamente perchè produce pezzi unici di storia e arte.
E’ un’espressione eccelsa di artigianato, alchimia e arte.
Questo metodo ha complessità e aspetti negativi difficili da comprendere per noi moderni, ma è comunque arte. Più precisamente:

  • la sensibilità è circa  0,004 ISO (forse c’è uno zero in più) se è solo iodato
  • i tempi di esposizione (vedi punto precedente) sono mostruosi, dai 20 secondi (per le lastre iodate e poi bromate esposte con moltissima luce) ai 20-25 minuti (per quelle solo iodate)
  • le lastre di rame argentato costano, oltre a costare uno deve anche trovarle in giro, quando le hai trovate devi modificare la tua macchina fotografica per utilizzarle
  • la lastra argentata va pulita a specchio in modo minuzioso. Un errore in questa fase e i chimici non attecchiranno sulla superficie
  • i chimici utilizzati per la fotosensibilizzazione dell’argento sono estremamente nocivi (oltre che di difficile reperimento oggi):
    – cristalli di Iodio (iodine): esposti all’aria generano un fumo nocivo che però sensibilizza l’argento. Quando dico nocivo intendo che con un paio di respiri ci si gioca un polmone. L’ingestione di 3 grammi di iodio sono fatali. A contatto con la pelle s’incendia e buca la carne. Lo Iodio è ossidante per qualsiasi metallo tranne il titanio. Trovare in giro questi sali dopo che sono stati usati per la produzione di metanfetamina (meth) è diventato alquanto difficile. La DEA vuole i tuoi dati quando acquisti dei cristalli di Iodio
    – cristalli di Bromo (bromide): accelerano la sensibilizzazione dell’argento e aumentano quindi gli ISO del metallo. I fumi sono estremamente tossici, giusto un filo in meno di quelli di Iodio
  • lo sviluppo di Daguerre (classico) è fatto con i fumi di Mercurio: questo vuol dire far bollire del mercurio in modo che il vapore entri in contatto con la lastra esposta. Inutile dire che i vapori di mercurio vi fan cascare i reni e spappolare il fegato
  • per i due punti precedenti, chi si cimenta in quest’arte si deve procurare una cappa aspirante da laboratorio (non è proprio economica
  • lo sviluppo di Bequerelle (per i poveri di spirito) è più sicuro. Si protegge la lastra con un vetro o gelatina di colore rosso e la si lascia al sole per 2 o 3 ore, stando attenti che non si scaldi troppo se no si scolora
  • le lastre sviluppate vanno “dorate” (in inglese questa fase si chiama gilding) per aumentare il contrasto e fissare meglio l’immagine. La doratura viene fatta con un composto chimico che contiene oro, quindi il suo costo è alto
  • le lastre sviluppate e dorate sono molto fragili e basta una ditata per far scomparire l’immagine. Devono sempre essere chiuse in un cofanetto con il vetro
  • le lastre non sono riproducibili. Non essendo negative (ma positive) e su un mezzo non trasparente, non c’è modo di farne delle copie
  • le immagini riprodotte sono visibili solo a certe angolazioni

Un bel po’ di problemini, converrete con me.
Poche persone al mondo ancora esercitano quest’arte così pericolosa. Pensate che all’ultimo convegno MONDIALE sulla daguerrotipia erano in venti, un numero mai raggiunto prima di presenze.
In Italia di fotografi “certificati” daguerrotipisti se ne annoverano due.
Ormai il trip m’è partito, saranno i fumi di Iodio?

Il Morbo del Trolley o del Fotografo Gobbo

24 novembre 2011 Lascia un commento

Ultimo atto e conseguenza naturale della Sindrome da Kit Fotografico è il Morbo del Trolley (conosciuto erroneamente anche come “del Fotografo Gobbo”).
Il fotografo, una volta dato sfogo all’acquisto incontrollabile dei componenti del suo corredo, si troverà con un numero spropositato di obiettivi e accessori da portare a spasso ogni volta che decide di uscire per far fotografie.
A seconda del livello cronico a cui si è stabilizzata la SdKF, e quindi del volume di materiale da spostare, il fotografo acquisterà una o più borse delle più svariate forme e dimensioni.
Il  Morbo del Trolley ha diverse forme:

  • lieve: la borsa contiene un corpo macchina, due obiettivi, un flash e qualche filtro
  • media (o “dello zoppo”): come la forma lieve ma il fotografo ha anche una cintura a cui attacca alcune custodie di obiettivi. Il fotografo comincia ad avere una camminata sguercia a causa del peso non bilanciato. Nelle forme più gravi il fotografo comincia a girare su se stesso
  • cronica: la borsa è sostituita da uno zaino di medie dimensioni, a cui non può accedere facilmente, ma deve fermarsi, posare lo zaino per terra e cercare la macchina
  • cronica digitale (o “del Gobbo”): lo zaino è grande e contiene anche un pc portatile e i suoi accessori
  • acuta: come la cronica digitale ma il fotografo porta con se almeno due corpi macchina più tutto il resto
  • irreversibile (“del Trolley”): il fotografo gira col trolley stracarico. Ansel Adams ne soffriva, non siete da soli!

Al momento non sono conosciute terapie efficaci se non lo shock da “perdita di momento fatato” (il fotografo non riesce a trovare la macchina fotografica nel momento del bisogno) o terapie di supporto familiare (da imprecazioni varie).

Se non siete Ansel Adams non vi serve portarvi dietro tutto.
Fate lo sforzo almeno una volta di decidere prima il/i soggetti da fotografare, i messaggi che volete comunicare e scegliete una lente sola.
Cambiate la vostra prospettiva! Non siate schiavi degli oggetti, ma fate sì che gli oggetti siano vostri strumenti per vedere e far vedere agli altri.