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Archive for novembre 2011

Mai darsi per vinti: la lunga strada verso il Daguerrotipo

30 novembre 2011 Lascia un commento

Uno pensa che siccome la tecnica ha quasi 200 anni dovrebbe essere tutto chiaro, facile e a portata di mano. Non funziona così.

Primo problema: iodio e bromo non si trovano dietro l’angolo. Ho scritto ad una azienda chimica che fa prodotti per laboratorio e, alla terza volta che gli spiegavo cos’è un daguerrotipo, mi hanno detto che loro non ne capiscono. Ho scritto alla Carlo Erba ma per ora tutto tace.
Non mi do per vinto: per lo Iodio forse si può passare dalla tintura di Iodio e con l’acqua ossigenata fare un paciugo. Ho ordinato un libro da amazon (Illustrated Guide to Home Chemistry Experiments) che mi dovrebbe aiutare. Per il bromo sono in alto mare.
Ora mi sto maledicendo per tutte le lezioni di chimica del Liceo in cui non ho ascoltato niente.

Poi c’è la questione delle “scatole del fumo” dove l’argento viene sensibilizzato e l’imbutone per lo sviluppo al mercurio. Mi sto guardando un po’ di disegni antichi e moderni, non mi sembrano cose complicatissime. Nel weekend passerò da qualche FaidaTe a guardare un po’ di materiale.

Infine le piastre d’argento e la macchina da utilizzare, a cui non ho ancora pensato.

Sopra a tutto ciò metto il problemone della sicurezza personale. Anche se metto insieme tutto, sarò in grado di non ammazzarmi?

L’ultimo trip: il Daguerrotipo è ancora fattibile?

28 novembre 2011 Lascia un commento

Risposta breve: sì.

Risposta estesa: sì, ma “sono cazzi da cagare” (è un termine tecnico coniato da Daguerre in persona).
Il Daguerrotipo è il primo metodo fotografico divulgato e commercializzato al pubblico dal 1839 da Daguerre e da Niepce figlio (del vero inventore), con le macchine fotografiche (Camere Oscure) di Giroux (il cognato di Daguerre), in cui l”immagine ripresa viene fissata su una lamina metallica di rame o argento.
Già dopo una ventina d’anni il processo era quasi tramontato, sostituito dai calotipi e da altre tecniche più semplici e più sensibili (già nel ’34 l’inglese Talbot lavorava a negativi su carta).
Ma la daguerrotipia non è mai scomparsa definitivamente perchè produce pezzi unici di storia e arte.
E’ un’espressione eccelsa di artigianato, alchimia e arte.
Questo metodo ha complessità e aspetti negativi difficili da comprendere per noi moderni, ma è comunque arte. Più precisamente:

  • la sensibilità è circa  0,004 ISO (forse c’è uno zero in più) se è solo iodato
  • i tempi di esposizione (vedi punto precedente) sono mostruosi, dai 20 secondi (per le lastre iodate e poi bromate esposte con moltissima luce) ai 20-25 minuti (per quelle solo iodate)
  • le lastre di rame argentato costano, oltre a costare uno deve anche trovarle in giro, quando le hai trovate devi modificare la tua macchina fotografica per utilizzarle
  • la lastra argentata va pulita a specchio in modo minuzioso. Un errore in questa fase e i chimici non attecchiranno sulla superficie
  • i chimici utilizzati per la fotosensibilizzazione dell’argento sono estremamente nocivi (oltre che di difficile reperimento oggi):
    – cristalli di Iodio (iodine): esposti all’aria generano un fumo nocivo che però sensibilizza l’argento. Quando dico nocivo intendo che con un paio di respiri ci si gioca un polmone. L’ingestione di 3 grammi di iodio sono fatali. A contatto con la pelle s’incendia e buca la carne. Lo Iodio è ossidante per qualsiasi metallo tranne il titanio. Trovare in giro questi sali dopo che sono stati usati per la produzione di metanfetamina (meth) è diventato alquanto difficile. La DEA vuole i tuoi dati quando acquisti dei cristalli di Iodio
    – cristalli di Bromo (bromide): accelerano la sensibilizzazione dell’argento e aumentano quindi gli ISO del metallo. I fumi sono estremamente tossici, giusto un filo in meno di quelli di Iodio
  • lo sviluppo di Daguerre (classico) è fatto con i fumi di Mercurio: questo vuol dire far bollire del mercurio in modo che il vapore entri in contatto con la lastra esposta. Inutile dire che i vapori di mercurio vi fan cascare i reni e spappolare il fegato
  • per i due punti precedenti, chi si cimenta in quest’arte si deve procurare una cappa aspirante da laboratorio (non è proprio economica
  • lo sviluppo di Bequerelle (per i poveri di spirito) è più sicuro. Si protegge la lastra con un vetro o gelatina di colore rosso e la si lascia al sole per 2 o 3 ore, stando attenti che non si scaldi troppo se no si scolora
  • le lastre sviluppate vanno “dorate” (in inglese questa fase si chiama gilding) per aumentare il contrasto e fissare meglio l’immagine. La doratura viene fatta con un composto chimico che contiene oro, quindi il suo costo è alto
  • le lastre sviluppate e dorate sono molto fragili e basta una ditata per far scomparire l’immagine. Devono sempre essere chiuse in un cofanetto con il vetro
  • le lastre non sono riproducibili. Non essendo negative (ma positive) e su un mezzo non trasparente, non c’è modo di farne delle copie
  • le immagini riprodotte sono visibili solo a certe angolazioni

Un bel po’ di problemini, converrete con me.
Poche persone al mondo ancora esercitano quest’arte così pericolosa. Pensate che all’ultimo convegno MONDIALE sulla daguerrotipia erano in venti, un numero mai raggiunto prima di presenze.
In Italia di fotografi “certificati” daguerrotipisti se ne annoverano due.
Ormai il trip m’è partito, saranno i fumi di Iodio?

Il Morbo del Trolley o del Fotografo Gobbo

24 novembre 2011 Lascia un commento

Ultimo atto e conseguenza naturale della Sindrome da Kit Fotografico è il Morbo del Trolley (conosciuto erroneamente anche come “del Fotografo Gobbo”).
Il fotografo, una volta dato sfogo all’acquisto incontrollabile dei componenti del suo corredo, si troverà con un numero spropositato di obiettivi e accessori da portare a spasso ogni volta che decide di uscire per far fotografie.
A seconda del livello cronico a cui si è stabilizzata la SdKF, e quindi del volume di materiale da spostare, il fotografo acquisterà una o più borse delle più svariate forme e dimensioni.
Il  Morbo del Trolley ha diverse forme:

  • lieve: la borsa contiene un corpo macchina, due obiettivi, un flash e qualche filtro
  • media (o “dello zoppo”): come la forma lieve ma il fotografo ha anche una cintura a cui attacca alcune custodie di obiettivi. Il fotografo comincia ad avere una camminata sguercia a causa del peso non bilanciato. Nelle forme più gravi il fotografo comincia a girare su se stesso
  • cronica: la borsa è sostituita da uno zaino di medie dimensioni, a cui non può accedere facilmente, ma deve fermarsi, posare lo zaino per terra e cercare la macchina
  • cronica digitale (o “del Gobbo”): lo zaino è grande e contiene anche un pc portatile e i suoi accessori
  • acuta: come la cronica digitale ma il fotografo porta con se almeno due corpi macchina più tutto il resto
  • irreversibile (“del Trolley”): il fotografo gira col trolley stracarico. Ansel Adams ne soffriva, non siete da soli!

Al momento non sono conosciute terapie efficaci se non lo shock da “perdita di momento fatato” (il fotografo non riesce a trovare la macchina fotografica nel momento del bisogno) o terapie di supporto familiare (da imprecazioni varie).

Se non siete Ansel Adams non vi serve portarvi dietro tutto.
Fate lo sforzo almeno una volta di decidere prima il/i soggetti da fotografare, i messaggi che volete comunicare e scegliete una lente sola.
Cambiate la vostra prospettiva! Non siate schiavi degli oggetti, ma fate sì che gli oggetti siano vostri strumenti per vedere e far vedere agli altri.

Mostra fotografica: Kami, la missione dell’energia, di Daniele Tamagni

22 novembre 2011 Lascia un commento

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Il 28 novembre, allo spazio PWC Experience in via Monterosa 91, apre la mostra di uno dei finalisti al World Press Photo 2011.

La serie di 24 fotografie sono incentrate al distretto minerario di Kami, in Bolivia, dove le condizioni di vita sono estremamente difficili e l’accesso all’energia inesistente.

La mostra apre il 28 novembre alle 19.30 (presentazione e guida del fotografo!) ed è visitabile in orario continuato, fino al 7 gennaio. Ingresso libero.

COOPI, è promotore dell’iniziativa. Qui altre info e l’invito.

Mostra Fotografica: La Belle Epoque nell’obiettivo di un fotoamatore – Francesco Carbonieri

22 novembre 2011 Lascia un commento

Fondazione Fotografia (la stessa che ha realizzato la prima importantissima mostra di Ansel Adams in Italia) propone fino al 29 gennaio 2012 la mostra sulla Belle Epoque con gli scatti di Francesco Carbonieri.
La mostra raccogli una settantina di scatti, dal 1908 alla fine degli anni venti, nel pieno della Belle Epoque, la vita spensierata, i viaggi in Costa Azzurra e in Europa, prima dell’arrivo delle nubi della Seconda Guerra Mondiale.
Quasi tutte le fotografie presentate sono stereoscopie, quindi i primi approci a quello che oggi chiamiamo 3D.

Una mostra da non perdere.

A Modena, Ex Ospedale Sant’Agostino, Largo Porta Sant’Agostino, 22
Ingresso gratuito

Orari di apertura:
martedì/venerdì 11-13 / 15.30-19
sabato e festivi 11–20
lunedì chiuso

Aperture straordinarie
gio. 8 dicembre 11:00–20:00
dom. 25 dicembre 15:00–20:00
lun. 26 dicembre 11:00–20:00
dom. 1 gennaio 15:00–20:00
ven. 6 gennaio 11:00–20:00

Qui un estratto del commento al catalogo della mostra

La Sindrome da Kit (o Corredo) Fotografico

21 novembre 2011 1 commento

Si presenta quando un soggetto affetto dalla Sindrome da Acquisto Compulsivo passa alla fase cronica di questa, cominciando ad acquistare materiale per costituire un kit o corredo fotografico senza rendersi conto delle sue reali necessità.
Derivato da un lontano retaggio delle scimmie arboricole antropomorfe, che costruivano il nido con tutto quello che trovavano attorno a loro in natura; così il fotografo moderno costruisce il suo corredo con tutti gli obiettivi, flash, diffusori, esposimetri, filtri, accessori e altre amenità  per gestire la propria ansia e tenere a bada la paura della natura.

Con l’Età dei Lumi (non quella di Voltaire, ma quella di Oscar Barnack) si sono formate due correnti di pensiero:  “leggero e portatile” contro “mi serve tutto incondizionatamente“.
Nel primo gruppo si annovera Henry Cartier Bresson, che usava una macchina 35mm piccola (non una F4 Nikon per intenderci quanto una Leica M3 et similia) con una sola lente.
All’altro estremo si trova Ansel Adams, che girava per le montagne e i parchi della California con 2 o 3 macchine di grande formato e casse piene di materiale (i muli che son morti di fatica ne sanno qualcosa).
Loro sono Maestri della fotografia e ciò che li divide veramente non è quanto materiale si portano dietro o se hanno o meno un kit preferito.
Essendo Maestri hanno visto al di là del mezzo e del materiale fotografico e posto la questione su cosa volevano comunicare, cosa volevano fotografare. Quindi macchina e corredo sono conseguenze di scelte artistiche ben precise e definite.
Con una 35mm Adams non sarebbe mai riuscito ad avere la definizione necessaria per le sue stampe gigantesche; allo stesso modo HCB avrebbe scattato un centesimo delle sue fotografie di strada, rubate, con una macchina che solo per aprirla e mettere a fuoco ci vuole un quarto d’ora.

E’ ovvio che se partite con l’idea “non so cosa troverò da fotografare”, la risposta fisiologica e mentale più semplice è “mi porto dietro tutto” e quindi, se mi manca un obiettivo macro o il supertelezoom, lo comprerò.

Proprio qua risiede il salto tra fotografo occasionale, da scatto compulsivo, e l’artista.
Se sai cosa vuoi, sai cosa ti devi portare dietro.

La nuova D800 Nikon?

20 novembre 2011 Lascia un commento

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Secondo Nikon Rumors (da cui é tratta l’immagine) questa sarebbe la nuova nata in casa Nikon.

Specifiche da urlo, tra cui un sensore da 36megapixel, in un corpo più leggero della sorella precedente e un’accelerazione nel campo del video.
Prezzo probabile 3600$.

Qui l’articolo di Engadget
Qui l’articolo su Nikon Rumors con tutte le specifiche

Mostra fotografica: 11/3 fotografie di Giulio Di Sturco

16 novembre 2011 Lascia un commento

Gli amici di Open Mind Gallery ospitano dal 25 novembre 2011 al 20 gennaio 2012 questa mostra di fotografie dello Tsunami che ha colpito il Giappone a marzo.
Uno sguardo diverso dal sensazionalismo dei giornali per una tragedia umana di proporzioni gigantesche.

Pubblico la presentazione dell’evento:

“Il mio primo contatto con Giulio Di Sturco è avvenuto proprio in corrispondenza del terremoto in Giappone, quando aderì all’iniziativa “3/11 Tsunami Photo Project,” un libro fotografico digitale e collettivo sul sisma e lo tsunami che avevano devastato il mio paese.

Solo al termine del lavoro ho avuto l’occasione di incontrarlo personalmente. Avevo sempre avuto una buona sensazione circa la persona attraverso le sue foto, perché sono simpatetiche ed espressive in una maniera unica. Quando poi mi ha raccontato come aveva lavorato e scattato a Tohoku ho avuto la certezza che le mie impressioni erano corrette, e il mio istinto non aveva fallito. Molti fotografi avevano illustrato la drammaticità e la tragicità delle condizioni, mentre le sue immagini avevano un qualcosa di caldo, ed empatico. Un’attenzione verso le persone molto più che verso le macerie che li circondavano.

Ho condiviso con Giulio i miei pensieri riguardo le migliaia di fotografie eccessivamente grafiche pubblicate dopo la tragedia dell’11 marzo. Avevo la sensazione che alcuni fotografi mostrassero una certa mancanza di umanità nel modo che avevano di illustrare le proprie immagini, presentare i “loro” soggetti, tentando di rappresentare una catastrofe naturale e umana come se fosse un’opera d’arte. Ero disgustata dalle foto presentate da questi individui, e mi sentivo a disagio nel sentirle definire “entusiasmanti” o, peggio ancora, “belle”. Quello che è accaduto ha cambiato il mio modo di considerare le fotografie. Mi sono accorta, mentre mi occupavo dell’editing dei lavori presentati sul disastro di Tohoku, di essere diventata particolarmente sensibile ai sentimenti delle persone ritratte.

Giulio mi ha raccontato la sua versione della stessa storia. Mentre era in Giappone, gli era stato sconsigliato di andare in alcune zone, semplicemente perché non avrebbe trovato nulla di interessante e “notiziabile”. Giulio aveva ignorato il suggerimento, convinto che comunque ci fossero delle persone abbandonate, e che valesse la pena raccontare la loro storia. La sua perseveranza ha significato raggiungere zone e confini in prossimità dei quali gli altri fotografi si erano fermati. Le grandi sfide affrontate sono evidenti nelle foto presentate qui, in “11/3”.

Sono particolarmente contenta che sia stata prodotta una mostra dal lavoro di Giulio. Perché le sue fotografie sono umane, reali e dense. E perché le sue immagini sono quelle che io, tanto perché giapponese di nascita quanto perché curatore di professione, vorrei che la gente vedesse. Il Giappone ha ricevuto aiuti da tutto il mondo, ma la strada della ricostruzione è comunque lunga. A dispetto delle avversità, le vittime dello tsunami, comprese quelle ritratte da Giulio, hanno una volontà forte. Sono convinte, e certe, e fiduciose, che riusciranno a superare il momento di difficoltà e tornare ad una vita normale. E mi auguro che chiunque possa vedere questo, e avere i miei stessi sentimenti, di fronte a queste immagini.”

Yumi Goto

 

Open Mind: Via Dante, 12 – 20121 Milano (Italy)

Orari:
Lunedi 15:30 – 19:00
da Martedi a Sabato 10:00 – 13:00 / 15:30 – 19:00
Domenica e Lunedi mattina chiuso

La Nikon FM 2

16 novembre 2011 Lascia un commento

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Veniamo a qualcosa di serio.
La FM2 è una full manual, con esposimetro incorporato (l’unica cosa alimentata dalla batteria) e velocità fino a 1/4000.
Meccanico. 1/4000. Meccanico. Rifletteteci bene.
Questa macchina è perfetta per chi si cimenta nella pellicola per la prima volta. E’ leggera, semplice, compatta, robusta e costa poco per le qualità che ha.
Su NOC si trova a 200€ con 2 anni di garanzia. Io la prenderei anche solo per questo.
Se ci aggiungete un 50ino o un 35mm siete a posto per anni.
Su ebay ovviamente la trovate a meno ma senza garanzia.

Qua trovate la minuziosa descrizione di MIR
Qua la cronistoria della serie FE e FM Ken Rockwell con la tabella di comparazione.

Lomokino hands on by Engadget

15 novembre 2011 Lascia un commento

Qualche giorno fa avevo parlato della novità di casa Lomo, che ha lanciato la sua videocamera, Lomokino Super 35 Movie Maker appunto.
Engadget l’ha provata per noi.
Qui la recensione.

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